(Dovrei chiedermi, in primo luogo, che cosa ho letto, visto che nell’introduzione Gianni Celati scrive che lo stile céliniano «dà alle forme argotiche [le parlate popolari] un sapore da lingua classica, lontana e straniera rispetto alle norme correnti» e genera un «effetto irriproducibile in traduzione». Niente di nuovo sotto il sole, ma sempre meglio ripeterlo.) Al di là di questa premessa, il romanzo (?) è formidabile: Céline parla della sua esperienza di guerra – al fianco dei nazisti in rotta, nel gregge dei collaborazionisti francesi in fuga – e pronuncia un discorso lamentoso che frana addosso al lettore e si stratifica nella memoria; come accade nella vita, ripetizioni, somiglianze, ossessioni, tic verbali e di pensiero si richiamano fra loro e finiscono con l’imporsi all’attenzione, ricostruendo quasi per miracolo un quadro esaustivo e chiaro – ma per vie traverse, retrospettivamente: nomi di persecutori e di vittime, di carceri, di patiboli e di rifugi. In fondo, Céline parla della vita, di come conservarla, di come si rischia di perderla: un argomento appassionante.Niente di strano, quindi, che il discorso si annodi attorno a centri nevrotici di gravità: pensieri fissi, punti fermi che riemergono con agghiacciante ma anche buffa cadenza: l’art. 75 del codice penale (che incriminava la cospirazione con gli Stati nemici e che Céline si sentiva “puntato alla schiena”); le truppe africane (i «senegalesi») dell’armata francese di Leclerc con le loro leggendarie atrocità; la condanna a morte e le confische subìte in seguito alle scellerate scelte politiche; il comportamento scorretto degli editori; il problema dei conti da pagare nella Francia del dopoguerra; l’assillo del cibo nella Germania assediata; i 1142 (contati precisi!) collaborazionisti francesi in fuga dall’avanzata alleata…Per carità, Céline raccontava situazioni estreme – sia quella in cui scriveva, dopo il conflitto, quando si era ormai ridotto a una sorta di esiliato in patria; sia, soprattutto, quella oggetto di ricordo, durante la guerra –; e a leggerlo pare che tutto il mondo e tutta la sua storia stessero convergendo in quegli anni e in quei fatti, come in una resa dei conti o in un grande bubbone. Così, senza dubbio, il castello di Siegmaringen, dove erano riuniti i membri del governo collaborazionista francese, circondati da criminali, intellettuali e personaggi tra i più curiosi, tutti ugualmente odiati dai loro compatrioti, ricercati dagli alleati, disprezzati dai tedeschi. Comprensibile che gli attori della tragedia-farsa si interrogassero sul proprio ruolo: «la voglia dunque li prendeva, l’angoscia di sapere se delle volte, nel corso dei tempi… era mai esistita… una specie, una cricca, una canagliocrazia, così odiata, maledetta come noi, così furiosamente aspettata, ricercata da folle di sbirri (ah, teneri Ungheresi!) per passarci alle banderille, graticole, pali?… Fatica di ricerche e scavi, pensate! vi assicuro che i nostri chierici ci si misero!… tutti i casi dei più peggio sozzoni che sono stati torturati qui! là! Spartachisti? Girondini?… Templari!… Comune?… soppesammo… scrutammo tutte le Cronache, Codici, Libelli… comparammo per questa ragione… per un’altra… eravamo forse?… forse?… così spazzature all’Europa da gettare nel primo immondezzaio venuto, agganciare a qualsiasi forca, come gli amici di Napoleone?… una volta Sant’Elena!… forse?… soprattutto gli amici spagnoli!… collaborazionisti hidalgos!… i giuseppisti! un nome da ricordare sempre!… quello che eravamo anche noi!… adolfisti!… quello che i giuseppisti avevano beccato! Ah ‘collaborazionisti’ d’epoca!… tutti i Javert d’allora al culo! la caccia press’a poco uguale… come noi, i 1142!… noi l’armata Leclerc a Strasburgo!… e i suoi senegalesi daga-daga! (gli Ungheresi che si lamentavano dei Tartari, merda!)» (132).Notevole era anche lo scenario, il Castello: «ci vale la pena, dal momento che la facciamo da turisti, che io vi parli un poco dei tesori arazzerie, ebanisterie, vasellami, sale d’armi… trofei, armature, stendardi… tanti piani tanti musei… in più dei bunker sotto il Danubio, gallerie blindate… Quante sti principi duchi e gangster, ne avevano scavate di buche, segrete, botole?… nel fango, nelle sabbie, nella roccia? quattordici secoli di Hohenzollern! zaccamerde, zappatori, stivatori!… tutto il bottino era sotto il Castello, i dobloni, i rivali uccisi, impiccati, strangolati raggrinziti… parti alte, il visibile, formidabile cartapesta, inganna-l’occhio, torrette, torri, campane… per il vento! specchio per le allodole!… e tutto sotto: l’oro della famiglia!… e gli scheletri dei sequestrati, carovane delle gole del Danubio, tesori dei mercanti fiorentini, avventurieri di Svizzera, Germania… i loro incerti erano finiti lì, nelle botole, sotto il Danubio… quattordici secoli di botole… oh, mica inutili!… cento volte!… cento allarmi! ci siamo salvati la vita!…» (134).E tutto, come al solito, converge sulle uniche cose importanti: salvarsi la vita e, se possibile, cercare fino all’ultimo istante di divertirsi un po’: «vedete che qualsiasi posto c’è gente che non si annoia, vedrete domani la terra svoltare ceneri e calcinacci, cosmo di protoni, che troverete ancora nonostante tutto in un buco di montagna, ancora un mucchio di maniaci dietro a infilarsi, succhiare, divorare, stravolti, pompare, perfetti debòsciamen… diluvio e ammucchiata!…» (306-307). Un rappresentazione molto realistica e vibrante degli esseri umani.
The first of Celine's final trilogy set at the end of WWII, and the book that rescued Celine's reputation after a decade in the critical wilderness. Some have suggested this is his funniest book - there are certainly some hilarious episodes, but to me it pales next to Death on the Instalment Plan and Journey to the End of Night.But it is fascinating, partly because it is based on Celine's real experience in Sigmaringen, the small town in southern Germany where the Vichy French regime was put by the Germans after the invasion of Normandy. As a doctor Celine had access to the big names in the place and his fictional memoir is pretty amazing. Sigmaringen (which he called Siegmanringen) is still very much like it was then; it was not bombed in the war and much of the centre of the town is just as it was in late 1944 and early 1945 when Celine was there. For the Celinist it is almost obligatory to visit.
What do You think about Castle To Castle (1997)?
Grotesque. Comique. Rageur. Titanesque. Sénilité (surtout au début). Et cette procession quasi-religieuse du maréchal et ses sbires sous les bombes de la RAF! Plus la fin approche, plus la folie s'empare de ces hommes... Quelle peinture de la société de Vichy dans ses dernières semaines de vie! Même si la mort rode, même si le nazisme s'effondre, même si les hommes sont lâches et salauds, la hiérarchie reste encore. Dernier rempart grotesque avant la folie. Le nihilisme en habit de bouffon du roi ou du maréchal. A lire.
—Licinius
"Né dans la tragédie, le regime de Vichy agonise dans un décor d'opérette." (Henry Rousso, Les années noires, on Sigmaringen)Stunning -- possibly the best of the three I've read so far (Journey, Mort....) - certainly there is none of the artificiality found in parts of the others - he is now merely a chronicler.... and the events are profound... -- Manheim's translation of Castle to Castle itself won a National Book Award (1970). The edition I had (an old yellow pocket sized Penguin) has a brief introduction by Kurt Vonnegut, and three short interviews conducted with Céline in 1960 and 1961 - just before his death. As I said in my earlier update, I never thought I would read this book; didn't think I would understand it..., if I did; and so assumed I wouldn't like it. How wrong I was!
—AC
Castle to Castle is Celine at his best. In it, he constructs a story of a desperate collaborationist government-in-exile of Vichy holed up in a castle, cowering through the regular RAF airstrikes. The cast of villains are often ridiculous yet always strikingly human. The best moments, however, are when Celine descends into bitter rants, usually about being robbed of his royalties from earlier works or about the hypocrisies of the Allied forces. Only mildly-to-moderately anti-Semitic. This is a must-read for people that love Celine or just any ellipses-enthusiast.
—Sam