In epilogo alle rivelatrici pagine dell'Artefice, Jorge Luis Borges pose una assai citata sua metafora: "Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di provincie, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli, di persone. Poco prima di morire, scopre che questo paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto". Quale tratto del suo volto, momento del suo vivere e incrinatura nel suo sentimento del tempo, tradiscono le parole, i versi e le nostalgie di La cifra, penultima raccolta di poesie pubblicata nel 1981, quasi "poco prima di morire" a Ginevra nel 1986? Non v'è dubbio: intriso come è di accennate allusioni diaristiche, dettato, come la cecità gli imponeva, lungo i due anni all'incirca precedenti la pubblicazione, questo, più di tutti i precedenti, è il libro dell'amore dichiarato, della gioia ricevuta e del ringraziamento dovuto; è il libro della riconoscenza e delle maledizioni, dello stupore per l'eternità che ci abita.
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