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Natasha's Dance: A Cultural History of Russia (2003)

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4.14 of 5 Votes: 2
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0312421958 (ISBN13: 9780312421953)
Language
English
Publisher
picador

Natasha's Dance: A Cultural History Of Russia (2003) - Plot & Excerpts

Stravinskij proclamo’:L’odore della terra russa e’ diverso, e queste sono cose che non si possono dimenticare… (502)Cosa significava essere russi? Qual era il posto e la missione della Russia nel mondo? E dov’era l’autentica Russia? In Europa o in Asia? San Pietroburgo o Mosca? L’impero zarista o il fangoso villaggio con la sua unica strada dove viveva lo “zio” di Natasa? Erano queste le “domande ossessive” che nell’età d’oro della cultura russa, da Puskin a Pasternak, occupavano la mente di qualsiasi serio scrittore, critico e storico letterario, pittore o compositore, teologo o filosofo. Sono le domande che, nella prospettiva di questo libro, si celano sotto la superficie dell’arte. (xv)Il mio obbiettivo è di esplorare la cultura russa nello stesso modo in cui Tolstoj e, come l’aria al cui ritmo balla Natasa, la maggior parte delle “canzoni popolari” era giunta dalle città. (xvi)Quando Pietro dichiarò “qui sorgerà una città”, le sue parole sembrarono echeggiare il comando divino “sia la luce”. E, secondo la leggenda, allorché le pronunciò, un’aquila prese a volteggiare sopra la testa dello zar andando poi a posarsi sul culmine di un arco formato da due betulle allacciate. (4)San Pietroburgo era più di una città. Era un grande progetto, in certo modo utopistico, di ingegneria culturale per rimodellare il russo come uomo europeo. Dostoevskij nelle Memorie del sottosuolo, la definì “la più astratta e artificiosa città di tutto il globo terrestre”. Ogni aspetto della cultura petrina era designato a negare la Moscovia “medievale” (XXVII secolo). Nell’intenzione dell’imperatore, diventare cittadino di Pietroburgo voleva dire lasciarsi alle spalle gli “oscuri” e “arretrati” costumi del passato russo per entrare, come russo europeo, nel moderno mondo occidentale del progresso e dei Lumi. (9)Ma questo senso di far parte dell’Europa produceva anche anime divise. “Noi russi abbiamo due patrie: la Russia e l’Europa”, scriveva Dostoevskij. (48)Nei panorami settecenteschi di San Pietroburgo il cielo aperto e lo spazio connettono la città con un più ampio universo. Linee dritte tendono verso orizzonti lontani, oltre cui, siamo sollecitati a immaginare, giace a portata di mano il resto dell’Europa. La proiezione della Russia sull’Europa era sempre stata la raison d’etre di San Pietroburgo. Essa non era soltanto la “finestra sull’Europa” di Pietro - come disse una volta Puskin della capitale - ma un passaggio aperto attraverso cui l’Europa entrava in Russia e i russi facevano il loro ingresso nel mondo. (54)“Per conoscere il nostro popolo, - scriveva il poeta Aleksandr Bestuzev, - bisogna vivere con lui e parlare con lui nel suo linguaggio, si deve mangiare con lui e celebrare con lui i giorni di festa, cacciare nei boschi l’orso insieme con lui, o recarsi al mercato su un carro contadino”. La poesia di Puskin fu la prima a ottemperare a questa esigenza. Parlare al più ampio ventaglio di lettori, tanto al contadino alfabetizzato come al principe, nell’idioma russo comune. Creare una lingua nazionale con la sua poesia fu la suprema realizzazione di Puskin. (71)Come ben sanno i lettori di Guerra e pace, la guerra del 1812 rappresentò uno spartiacque nella cultura dell’aristocrazia russa. Fu una guerra di liberazione nazionale dallo scettro intellettuale della Francia: un momento in cui nobili come I Rostov e i Bolkonskij cercarono di liberarsi dalle abitudini straniere della loro società e iniziarono una nuova vita fondata su principi russi. (88)Aksakov sosteneva che il “tipo russo” era incarnato nel leggendario eroe popolare Il’ja Muromec che compare in narrazioni epiche come protettore della terra russa contro invasori e infedeli, briganti e mostri, con la sua “forza gentile e la sua mancanza di aggressività, ma anche con la sua prontezza a combattere per la causa del popolo in una giusta guerra difensiva”. (117)Con le sue casette in legno e le stradine tortuose, con i suoi palazzi dotati di stalle e di cortili chiusi dove pascolavano liberamente mucche e pecore, Mosca possedeva una peculiare atmosfera campagnola. Era chiamata “il grande villaggio”, un soprannome che ha mantenuto fino ad oggi. (132)Nelle parole di Pasternak:Tutto si coprira’ di nebbia favolosa,similmente ai rabeschi sui muridella camera indorata dei boiarie alla chiesa del Beato Vasilij.Al sognatore e al nottambuloMosca e’ piu’ cara d’ogni cosa al mondo.Egli si trova a casa, alla sorgentedi tutto cio’ di cui fiorira’ il secolo. (190)Perche’, come illustrano i famosi versi del poeta Nekrasov:La Russia e’ racchiusa nel profondo della sua campagnala’ dove regna un eterno silenzio. (193)Optina Pustyn’, l’ultimo grande ricetto della tradizione eremitica che riconnetteva la Russia a Bisanzio, andra’ delineandosi come il centro spirituale della coscienza nazionale. Tutti i piu’ grandi scrittori dell’Ottocento - Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj tra gli altri - vi si recheranno nella loro ricerca dell’”anima russa”. (251)Cio’ che il russo non puo’ comprendere restera’ per sempre sconosciuto agli uomini. (270)Nella sua lettera a Gogol’, Belinskij aveva riconosciuto che il contadino russo si caratterizzava per il timore e la devota reverenza verso Dio. “Ma mentre pronuncia il nome di Dio, si gratta la schiena. E dell’icona dice: “Va bene per pregare, ma anche per coprirci le pignatte”. (274)Nelle Mie universita’ (1922), Gor’kij descrive un contadino da lui incontrato in un villaggio vicino Kazan’, il quale… immaginava (Dio) come un vecchio grande e nobile, come un padrone buono e intelligente, che non poteva vincere il male solo perche’: “Non fa in tempo, ci sono troppi uomini oggi. Ma non importa, ci riuscira’ vedrai! … Per quanto ne so, Dio non e’ morto… (275)Si tratto’, sembra, del tentativo consapevole da parte della Chiesa russa di appropriarsi del culto pagano di Rozanica, dea della fertilita’, e dell’antico culto slavo dell’umida Madre terra, ovvero della dea conosciuta come Mokos, da cui derivo’ il mito della “madre Russia”. Nella sua forma contadina piu’ arcaica, la religione russa era una religione della terra. (276)Nella mentalita’ russa, la frontiera religiosa e’ stata sempre piu’ importante di qualsiasi confine etnico, e i piu’ antichi termini per “straniero” (ad esempio, inoverec) veicolano la connotazione di una fede diversa. E’ ugualmente significativo che la parola russa per “contadino” (“krest’janin”), che in pressoche’ tutte le altre lingue europee si radica nella nozione di paese o di terra, sia connessa invece alla parola per “cristiano” (“christianin”). (322)Marciando verso il cuore dell’Asia, i russi tornavano al loro antico focolare. …Ispirato dal soggiogamento dell’Asia centrale, anche Dostoevskij arrivo’ a pensare che il destino della Russia non fosse in Europa, come aveva a lungo reputato, ma in Oriente. (355)Tarkovskij ha rivissuto questo mito nazionale in antitesi al sistema di valori del regime sovietico, con le sue idee aliene di razionalismo materialistico. “L’odierna cultura di massa…, - scrive Tarkovskij, - mutila le anime, sbarrando all’uomo la strada che conduce ai problemi radicali della sua esistenza, alla presa di coscienza di se stesso come essere spirituale”. Tale coscienza spirituale, egli pensava, era il contributo della Russia poteva offrire all’Occidente. Un’idea, questa, simboleggiata nell’ultima immagine iconica di Nostalghia (1983): una casa contadina russa inserita tra le rovine di una cattedrale italiana. (445)Nel 1933 Bunin ottenne il Nobel. Fu il primo scrittore russo a ricevere questo premio che, arrivato mentre Stalin stava mettendo in catene la cultura sovietica, fu percepito dagli emigrati come il riconoscimento che la Vera Russia (sul piano della cultura) si trovava all’estero. (462)La musica di Rachmaninov esprime lo spirito di questo paesaggio. “I russi sentono con il suolo un legame piu’ forte di qualsiasi altro popolo, - spiego’ a una rivista americana (pensando, evidentemente, soprattutto a se stesso). - Esso deriva da una tendenza istintiva alla quiete, alla tranquillita’, all’ammirazione della natura, e forse da una ricerca di solitudine. Mi sembra che tutti i russi siano un po’ eremiti”. (465)

As a schoolboy I wrote to Orlando Figes as part of the project to write my graduation paper. It was 1998 and the questions I asked did not make much sense, but ask I did before getting on with writing my piece. I had read the recently published 'A People's Tragedy' and Figes could do no wrong in my eyes.Orlando Figes is an interesting writer, and one who should take a lot of credit for his part in steering mass-published Russian history away from the cover-all texts of a decade ago (including the aforementioned 'Tragedy'). Natasha's Dance, which has been followed by his more recent work, The Whisperers, veers away from the 1861-1953 period on which so much has been written and opens up new lines of investigation to the amateur reader.Natasha's Dance is a richly interwoven and interestingly ordered work that charts the cultural development of Russia down the ages. Russian literature, theatre and art in general are well known outside Eastern Europe, but the underlying foundation from which this creativity has sprung is not. Figes does a good job of pushing less conspicuous cultural trends to the fore, examining their more recent development in a clearly written and engaging way.My only real criticism of Natasha's Dance is that the scope of the book is too ambitious. Figes has done a great job of writing about Russian culture since Russia became Russia in the post-Mongol world, but that leaves the reader wondering where the origins of these cultural, artistic and attitudinal movements lie. There certainly has been be a boundary for a study as broad as this to make sense and stay focused, and the boundary from which Figes works is a sensible one, but it leaves important questions unanswered and the reader (or, more precisely, me) wanting a prequel to Natasha's Dance. How did what is now Russia look culturally before the Mongol invasions? How did Mongol occupation affect local culture, and did that local culture affect Mongol traditions and art? The subject that Figes addresses cannot fully be appreciated in isolation, which is where I was left by Natasha's Dance. Perhaps I am being a little hard on Figes given that within his defined scope ND is extremely good, but then perhaps I have felt isolated since I waited all those weeks and months for some guidance on my graduation paper all those moons ago.

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Commonsensical and repetitious, Natasha's Dance is centred around a never-ending list of well-known dualities in Russian culture. West/East, aristocrat/serf, good serf/bad serf, Russian Orthodox/various Christianities, etc/etc - over and over we are given accounts of people's lives to illuminate these binaries, in no particular order and with no overarching analysis or intellectual depth. There are large holes in the telling, for example the ignoring of the Jews and their place in Russian history. The only time Jewish repression and pogroms are mentioned, in a short paragraph on Chagall, is to effectively defend Russia as a greater society that was able to liberate Chagall from the stultifying community he grew up in, and the only Eastern European culture potent enough to give Jews a sense of nationalism.Some of the writing on Russian composers and music history is worth reading however, and I must say the choice of paintings for the plates was exquisite.
—Nguyen Santiago

Figes has gathered a lot of cultural information and organized it into one book, which is very helpful if you want to get a general review of Russia's culture without referring to multiple sources. Some threads that go through the entire book and tie the narrative together, such as the history of the Fountain House in St. Petersburg, almost give you an impression that you are reading fiction. However, some of the information that Figes offers is incorrect. For example, when talking about Dostoevsky's "Crime and Punishment," he calls Sonia Marmeladova Raskol'nikov's lover, which is incorrect and misleading. He ascribes to Dobroliubov the authorship of the term "Oblomovism," when it was Goncharov who coined the term and used it in his novel "Oblomov" first, and Dobroliubov's article "What is 'Oblomovism'?" came out later. He states that in Bulgakov's novel "The Heart of a Dog" a dog's organs were transplanted into a human being, when it was the other way around, hence the sense of disappointment implied in the title of the novel. The origins of the word "bistro" in French are also given incorrectly. I wonder what else I missed. In other words, this is an interesting book, reads easily despite its volume, but it left me disappointed, because in the end I felt I couldn't trust the author.
—Katya

I found this a great, wide net for Russian culture--I read it before a trip to Russia, and despite Figes continuing to be controversial figure in Russian scholarship, no one ever questioned his thoroughness. A great great introduction to Russian history and culture. The book was assigned reading for an alumni trip to Russia I took in 2006, and I was SO glad I'd tackled it--though it's a monster, to be sure. Easy reading, and divided thematically rather than chronologically, which prevents it from feeling like a slog. He mixes it up nicely into chapters like "The Peasant Marriage," "In Search of the Russian Soul" and so forth.By the time I left for Russia, thirty years after having been a student there, I understood all kinds of things about Russian cultural history which enriched my trip 100%--for instance, I knew who the Sheremetevs were (all I'd known was that the poet Akhmatova lived in a wing of their palace in Petersburg/Petrograd/Leningrad). I understood what was behind the circle of incredible Russian composers and artists who all came up under the encouragement of Russophile critic Vladimir Stasov--Borodin, Mussorgsky, Rimsky-Korsakov, Repin, Kramskoi, Vasnetsov, etc. I knew what the cultural significance of the Decemberists was, and how the victory against Napoleon colored everything that followed. Worth its weight. Though it would be cool if it were published into its component 7 smaller books, slipcased,
—Janet

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